Amici insoliti
Il vademecum per gli appassionati di creature insolite
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Latrodectes tredecimguttatus
La Malmignatta, tra leggenda e realtà

Articolo di Bruno

N.d.R. la legge sugli animali pericolosi ha inserito questo ragno tra le specie la cui detenzione è vietata, quindi ormai questo articolo è da considerarsi puramente informativo. Se vi piace questo genere, provate con la Steatoda paikulliana, è simile ma senza rischi.

malmignatta la vedova nera

ITALIA, RAGNO, MORSO MORTALE.

Si può dire che il mio interesse per l'aracnide in questione sia nato da queste quattro parole. Era il 1987, sfogliando un giornale per adempiere un obbligo scolastico m'imbattei in un articolo che parlava della morte di due donne, a Genova, causata probabilmente dal morso di un ragno. Era sufficiente a stimolare la mia curiosità, esisteva un ragno dal morso letale in Italia e me l'avevano sempre tenuto nascosto dicendomi che gli araneidi italiani erano tutti innocui? Dovevo saperne di più, soprattutto dove e chi. C'era questo nome che aleggiava su tutta la vicenda: "Malmignatta", la vedova nera italiana.

Mi misi subito in cerca di notizie, ma non trovai granché, a parte la certezza che non viveva nelle mie zone. Per mancanza di stimoli il mio interesse finì per sopirsi, risvegliato di tanto in tanto da notizie lette sui giornali sempre legate a qualche decesso o a gravi intossicazioni. Il primo vero incontro con l'amico lo ebbi anni dopo, mi trovavo nel Lazio, in provincia di Viterbo dove mi ero recato per fare una gola; all'uscita, sulla strada del ritorno, ci fermammo nei pressi di alcuni campi coltivati per mangiare. Fu lì che scovai, per caso, il "micidiale" esserino.

Come sempre stavo rovesciando pietre alla ricerca di coleotteri ragni e quant'altro. Sul bordo di una di queste notai dei filamenti serici, che ad un esame fatto con un bastoncino si rivelarono estremamente robusti e appiccicosi. Stavo ancora stupendomi per le sue caratteristiche e domandandomi chi potesse esserne l'artefice, quando venni aggredito, o meglio lo fu il mio strumento, da mezzo grammo di ferocia inaudita rossa e nera. Rimasi un momento indeciso sul da farsi, poi un pensiero si fece strada in me... poteva essere lui, il leggendario assassino, ad una manciata di chilometri da casa mia. Non esitai oltre, presa dallo zaino una delle provette con tappo di silicone, bucato e coperto da una fittissima reticella in metallo, che porto sempre con me ed un paio delle mie immancabili pinzette "tenere", mi accinsi a raccogliere l'animaletto.

Vista la mala parata, lui sarà anche velenoso, ma io sono enorme, l'indomabile si rifugiò all'interno dell'intreccio serico che s'insinuava sotto il sasso, ma non aveva fatto i conti con la mia determinazione. Rovesciata la pietra lo trovai lì, rannicchiato sul fondo, così non dovetti neanche faticare tanto per infilarlo nella sua prigione provvisoria, mi limitai ad asportarlo con le pinzette, senza che opponesse la minima resistenza, anzi una volta preso ha allargato le zampe come per bilanciarsi. Fu così che cominciò la mia storia, con questo splendido animale.

C'è da dire che tra i ragni italiani questo è certamente uno dei più conosciuti, grazie o a causa della tossicità del suo veleno, ma ciò si limita agli ambienti universitari ed a qualche appassionato, questo articolo vuole essere un piccolo vademecum per i meno esperti che vogliono avvicinarsi a questo affascinante esserino, sempre che QUALCUNO non si faccia venire in mente che essendo velenoso va inserito nel bieco decreto del '96 (qualche giorno fa mi chiedevo quando decideranno con decreto di non far riprodurre in Italia la Zanzara tigre o la Zecca dei cani. Mugugno. N.d.R caro Bruno purtroppo hai profetato il vero e ora non è più detenibile!).

Tra mito e leggenda

L'indeterminatezza sul nostro amico ha origini lontane e coinvolge l'altro ragno "famoso" della nostra penisola: la tarantola (Lycosa tarentula). In effetti, potremmo definire la vicenda un deplorevole errore giudiziario in questo caso favorevole al nostro. In passato il venir morsicati dall'amico non era un fatto poi tanto eccezionale per la sua tendenza a tessere la tela a cavallo tra i solchi degli aratri insediando così coloro che per mieterlo vi si avventuravano. Questi eventi hanno dato origine al fenomeno dei tarantolati, vale a dire coloro che avvelenati, erano colti da spasmi e si contorcevano per il dolore. Nascono in questo modo, come riti magico-terapeutici alcune, a mio avviso, delle più belle espressioni musical popolari d'Italia, come "la Pizzica" nel Salentino e nell'alto Gargano, la "tarantella" in Campania e "il saltarello dei monti Tiburtini" nel Lazio. Anche in Sardegna il fenomeno sembra aver dato origine alle medesime tradizioni, ma ne parleremo più avanti. Tutte queste danze, dai ritmi forsennati, sortivano gli effetti terapeutici voluti grazie all'abbondante sudorazione derivatane, che aiutava nello smaltimento delle tossine. Alcuni ravvisano anche nel Sirtaki greco origini comuni con le citate danze, ma non ho modo di averne la certezza, quindi accettatelo con beneficio d'inventario.

Come si diceva poc'anzi la colpa di tutto ciò fu affibbiata alla più appariscente Lycosa tarentula, il ragno "lupo" (e ridagli con l'immaginario collettivo). Il fatto è che in primis, farsi morsicare da uno di questi ragni di giorno, non è poi così semplice, poiché vivono rintanati nei loro tunnel e poi non tendono ad arrampicarsi, tanto meno sugli esseri umani. Inoltre il loro veleno non è molto tossico, ed un morso non crea più che un diffuso gonfiore sulla zona colpita, la cosa più dolorosa è il morso nella sua fisicità, essendo i cheliceri di dimensioni ragguardevoli. Nonostante ciò è più facile incolpare di omicidio il gigante che il nano, così la poveretta si è portata addosso l'infamante marchio praticamente fino ad oggi, visto che ancora qualcuno parla di lei come del vero responsabile, citandola tra l'altro col nome scientifico e non con quello comune, per fortuna non è "quel QUALCUNO", altrimenti ne avrebbero già vietata la detenzione (rimugugno).

Anche in Sardegna, dove è presente, ha dato il via, come si diceva, ad una serie di leggende e tradizioni musicali, la chiamano "s'argia malecumbessa" e secondo la tradizione popolare sarebbe l'incarnazione di anime malvage (secondo altre fonti entità demoniache femminili), punite per non aver reso omaggio a Gesù nel giorno del Corpus Domini; così trasformate le anime reincarnate rendono velenoso il loro morso per vendicarsi. Ma vi è rimedio alla "puntura", rimanere immersi nel letame per tre giorni e tre notti senza mai sopirsi ed avere intorno sette nubili, sette vedove e sette maritate che danzino e cantino. Infatti sempre secondo la tradizione popolare s'Argia può essere di tre specie: "bagadia" (nubile), "coiada" (sposata) e "viuda" (vedova); alla buona riuscita del rito è necessario che chi è colpito e il ragno morsicatore siano dello stesso "tipo". Ed ecco che torna il rito magico terapeutico della danza, l'unico problema è che non sono riuscito a capire se questo ballo sia sopravvissuto fino ad oggi, ma immagino di sì visto come si è radicato in altri posti. Se qualcuno ne avesse notizia può farmelo sapere? Grazie da ora per la collaborazione.

Distribuzione

Tornando alla realtà, da quanto detto fin'ora si è capita quale è più o meno la distribuzione della malmignatta. Ricapitolando: secondo la letteratura la troviamo in tutte le regioni tirreniche dalla Calabria alla Liguria, in Puglia e Basilicata. Da sottolineare che non popola l'intero territorio citato, ma si localizza a macchia di leopardo con piccole popolazioni isolate.

Passando dal generale al particolare posso dire con certezza, per averle osservate, che ve ne sono popolazioni, in alcuni casi numerose in altri meno, nella provincia di Viterbo, parecchi chilometri a sud della città, in una zona molto bella, ricca di resti della civiltà etrusca e dove furono girate alcune scene del "Marchese del Grillo". Un esemplare lo rinvenni in quel rudere che nel film era la dimora di un gruppo di briganti. Nel Frosinate, sempre nella zona a sud, verso il confine con la Campania, in una zona in cui per lo più vi sono campi coltivati. Sempre nel Lazio ne ho trovati degli esemplari nei pressi delle scogliere di Gaeta. In Campania la si può rinvenire in un noto parco nei pressi di Napoli. In Calabria popola la zona del parco del Pollino, in specie dalle parti dell'enclave albanese di Cifti, verso il mare, attorno al letto del torrente Raganello. In Basilicata è presente, anche in città, nel Materano. In Puglia è possibile rinvenirla un po' ovunque, per chi volesse osservarla consiglio di cercare sui muretti a secco che dividono i campi coltivati nella provincia di Bari. Infine, ma la notizia è di seconda mano, mi si dice che ve ne siano degli esemplari nel promontorio del Conero, nelle Marche, provincia di Ancona. Passando alle isole è molto diffusa in Sardegna, anche nella città di Cagliari, nella parte vecchia, in Sicilia, nell'interland trapanese e nelle Tremiti. Infine è presente in Abruzzo, la mia regione, nelle zone costiere ed in alcune parti del Parco Nazionale omonimo. Quest'ultima notizia mi è stata riportata da un amico guarda parco, la sua tesi è che esistendo ancora oggi un certo numero di greggi che praticano la transumanza su zampe, invece che su ruote, può accadere che qualche esemplare del "temibile" aracnide, possa volente o nolente, venir trasportato dalle nostre parti. Non posso dare giudizi a riguardo, ma essendosi avvistato talvolta l'amico, in queste zone a lui poco congeniali, ritengo che l'ipotesi sia quantomeno ragionevole.

Un'ultima annotazione, lo chiamano ragno volterrano perché sembra che un tempo fosse diffusissimo in quelle zone, oggi forse a causa dell'inquinamento, visto che l'inurbazione sembra non disturbarlo troppo, si è ridotto a vivere, in quei territori, in poche aree, per lo più all'interno di zone protette. Forse a riguardo sbaglio, visto che le mie "ricerche" in questi posti, sono state limitate nel tempo e nello spazio, ma a naso, non mi è sembrato così diffuso, come invece in altri luoghi.

Latrodectus tredecimguttatus vista da vicino

La Malmignatta, è un piccolo aracnide appartenente alla medesima famiglia delle più note vedove nere americane, i Therididi, un gruppo numerosissimo che annovera specie diffuse in ogni continente, ovviamente tranne Artide e Antartide.
A titolo puramente esemplificativo possiamo citare L. lugubris diffuso in Asia Centrale, L. rodhensis, geometricus e indistinctus in Africa e L. mactans in Nord America. Piccola, non supera i due centimetri comprese le zampe, ha un addome di quasi un centimetro segnato da circa tredici macchie rosse su un fondo nero, e zampe lunghe e sottili che parlano di una vita passata tra i fili di una ragnatela. Questo l'identikit dell'amica, ma per conoscerla meglio cerchiamo di capire in quali posti è possibile rinvenirla.

Se volete cercare questo piccolo ragno recatevi in un posto in cui lo sapete presente e cercate in tutti gli anfratti, sotto cespugli, vicino a grossi sassi, nei solchi degli aratri, nelle spaccature del terreno, sui muretti a secco, sempre più o meno a livello del terreno, ma non tralasciate i buchi degli alberi e, lungo i sentieri, buttate sempre un occhio ai lati, soprattutto se vi sono mucchi di terra dilavata particolarmente fratturati dalla siccità.

L'avete individuato? A questo punto vi accorgerete che il soggetto è un tipetto molto disordinato, la sua ragnatela a prima vista non ha nulla a che fare con quei capolavori d'ingegneria costruiti da altri aracnidi, ma non fatevi ingannare. Solitamente si immagina una ragnatela come una rete, disposta tra due elementi fissi e sviluppata su due dimensioni, oppure come un mortale tappeto di seta immacolata con una oscura porta che conduce alle stanze dell'orco, beh, in questo caso è diverso. Vi trovate di fronte ad una serie apparentemente caotica di fili appiccicosi che sembrano buttati lì a caso, uno orizzontale, l'altro verticale, qualcuno che sembra non aver nulla a che fare con il resto, ma non è così. Ho passato molto tempo ad osservare il prodotto del lavoro di questa specie e di altre che si applicano per un risultato similare, nel caos apparente c'è un ordine, ognuno di quei filamenti è collegato con gli altri, non è possibile toccarne uno senza mettere in allarme l'autore. Immaginate un volume di spazio della forma del rifugio del ragno, lui passa il suo tempo nella parte più nascosta, dove la tela è più fitta, credo per facilitargli i movimenti, man mano che ci si allontana dalla sua postazione le secrezioni seriche si fanno più rade, quasi invisibili, ma sempre collegate una con l'altra, quando si incappa in un filamento è poi impossibile evitare gli altri, il panico della vittima cresce, i movimenti si fanno convulsi, e ad ogni singulto ci si ritrova più invischiati, poi arriva lui e tutto ha fine, un morso la vita si spegne, in un attimo.

Se guardate bene troverete, sul fondo del suo nido, i resti di ogni sorta di animali delle più svariate dimensioni, ho rinvenuto, nella tela di un esemplare che aveva eletto domicilio in una spaccatura su un muro di terra quattro corpi di Bombi, in un'altra le spoglie di un grosso coleottero. Dunque il nostro non si fa scrupoli, il suo spettro alimentare è molto ampio, preda qualunque tipo d'insetti, l'unico discriminante è la popolazione entomologica del luogo in cui ha deciso di fermarsi. Come è risaputo quest'aracnide viene chiamato un po' ovunque Vedova nera, nel nostro caso "italiana", perché la femmina, grande più del doppio dello sfortunato consorte ha la spiacevole abitudine di mettere qualcosa tra i cheliceri dopo l'accoppiamento. Questa caratteristica è tipica di un po' tutte le specie di ragno, però per questa in particolare sembra essere una certezza giacché ne ha determinato il nome comune.

Tanto per cambiare, la penso diversamente. Premetto che le mie osservazioni si limitano a due soli casi avvenuti per di più in cattività ed in incontri da me organizzati, con la femmina nutrita abbondantemente nel periodo precedente, quindi hanno poco valore dal punto di vista scientifico, le riporto esclusivamente a titolo di curiosità. Il maschio si avvicina con cautela, camminando su un solo filo, cauto, si ritira e si riavvicina più volte, la femmina se ne avvede ed accorre, lui fugge di nuovo, lei rimane sul limitare della tela, sembra osservarlo. Lo spasimante si avvicina di nuovo, lei si ritira ed in questo caso non torna indietro, entrano nell'antro una dopo l'altro, dopo una decina di minuti, incolume, lui esce dal talamo nuziale. Il secondo appuntamento da me organizzato ha avuto lo stesso esito, ma, mi ripeto, credo dipenda proprio dall'aver nutrito molto la femmina. Gli accoppiamenti avvengono tra Aprile e Giugno, secondo la regione, la femmina depone le uova in un sacco sferico di seta ancorandolo al resto della tela dopo circa quindici giorni, i piccoli vedono la luce dopo un mese e sono più o meno un centinaio, stazionano per poco tempo sulla tela per poi disperdersi in ogni direzione. Sullo sviluppo di questi non posso dire nulla, non li ho tenuti nessuna delle due volte, liberandoli assieme alla madre poco dopo la nascita.

Se volete provare ad allevarlo... ma state attenti

Se dopo averlo trovato volete provare ad allevarlo, catturatelo con delle pinzette a presa morbida, riponetelo in un contenitore sicuro che si chiuda molto bene, sarebbe sgradevole trovarselo in giro per la macchina o nello zaino, e portatelo a casa. Vi consiglio di preparare prima il terrario che dovrà ospitarlo, al fine di evitare stress alla bestiola che dovrebbe rimanere chiusa in un barattolino, e a voi, perché i barattolini possono cadere e rompersi.

Per quanto riguarda l'allestimento potrete sbizzarrirvi, io personalmente preferisco usare piante vere, in questo caso il Pothos è adattissimo, mettetelo vicino ad una pietra e sarà proprio lì che il vostro ospite si costruirà la tana. Potete invece usare dei pezzi di legno, o dei sassi, insomma fate un po' come volete. Molta attenzione dovrà essere posta, invece nell'allestimento della teca vera e propria, deve essere assolutamente a prova di fuga. Non voglio parlare di dimensioni perché ognuno alleva animali per un motivo diverso, si possono usare contenitori piccoli e spogli per un allevamento "intensivo", ammesso che serva a qualcosa, o per crescere i piccoli, oppure allevare i propri esemplari in un grosso spazio, come ho fatto io, per ricrearsi un pezzo di giardino in casa, vi assicuro che è rilassante da guardare come e più di un acquario.

Io ho utilizzato, appunto, un vecchio acquario di un metro per cinquanta per sessanta, ho usato come fondo della sabbia gialla di fiume e ho disposto qualche ramo qua e là, l'idea mi è venuta vedendo il terrario usato dal "professore" in "Aracnophobia", film che, se state leggendo quest'articolo, certamente farà parte del vostro bagaglio cinematografico. Per chiuderlo ho usato della rete di metallo fittissima montata su una cornice di alluminio poggiata su dei listelli di vetro fissati con il silicone, che combaciava perfettamente con le pareti della teca, chiudendo tutto con quattro gancetti, non si sa mai. Se state pensando di sostituire l'alluminio con il legno, lasciate perdere perché si dilata e si restringe col variare di caldo, freddo e umidità, lasciando delle fessure che forse sarebbero troppo piccole per il ragno... ma non si sa mai. Realizzato il bunker potete allocare il detenuto che dopo poco si troverà un angoletto in cui vivere. Se volete potete anche allevare un paio di esemplari nella stessa teca, dovrete solo tenerli separati, magari con un pezzo di cartone mentre costruiscono le rispettive tele, poi state tranquilli, non se ne allontanano mai, quindi difficilmente s'incontreranno. Come detto, le prede non saranno un problema.

Un cenno sul veleno

Non mi dilungherò sugli aspetti clinici della cosa, certamente, in altra sede, saranno trattati con più competenza di come potrei fare io, mi limiterò a delle considerazioni di carattere personale. Certamente quest'aracnide è, come tutti gli altri, velenoso e, certamente più di tutti gli altri, almeno quelli che popolano le nostre zone, pericoloso. Questo non vuol dire che il suo morso sia una "schioppettata" (colpo di fucile nel mio dialetto). Nel tempo, numerose sono state le persone imbattutesi nella Malmignatta ed "aggredite", ma pochi i casi di un decorso infausto dell'avvelenamento, me ne vengono in mente tre negli ultimi quindici anni, tutti nel nord Italia, i due citati all'inizio a Genova, ed uno nel Varesotto qualche anno dopo, e per nessuno dei tre è stato accertato un univoco nesso di causalità tra il morso ed il decesso. Certo è che il suo veleno è uno tra i più efficaci di cui la natura abbia dotato i suoi figli, dicono sia più potente di quello del serpente a sonagli, ma è pur vero che la quantità che il ragno può inoculare è minima. Fuor di dubbio la tossicità del veleno e la conseguente pericolosità del morso, ciò che fa la differenza, come in tutti i casi di avvelenamento, è lo stato di salute e la massa corporea della vittima in relazione al grado di tossicità ed alla quantità iniettata. Quindi temiamo questo ragno, ma non facciamone un mostro: la Malmignatta è un animale pericoloso, ma non va in giro a fulminare la gente!