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Genetica nel terrario (parte quarta)

Ben ritrovati! In quest'ultima parte dovreste riuscire a seguirmi un po' più facilmente, infatti -come promesso- abbandoneremo calcoli statistici ed effetti biologici microscopici (per quanto fondamentali), per occuparci di fenomeni di grosso rilievo.
In particolare mi sarei prefissato di analizzare con voi la teoria evolutiva guardando ai nostri beniamini... ci riuscirò?

Le teorie dell'evoluzione

Abbandonata una visione "cristallizzata" della vita, dai primi del 1800 si vide nascere ed irrobustire la teoria evolutiva, ad opera di molti "padri" illustri. Ricordiamoli brevemente: Ognuno di loro portò osservazioni originali alla teoria evolutiva, mancando però della capacità sintetica con le altre teorie (forse erano troppo presi a difendere la propria dai "rivali").

Ci volle quindi un bel po' di tempo perchè Huxley finalmente pubblicasse la "Modern Synthesis" (1942) in cui, basandosi sui concetti darwiniani, riuscì a conciliare le numerose teorie, aiutato enormemente dai progressi scientifici ottenuti nel campo della genetica e della dinamica delle popolazioni. Ancora oggi la sua impostazione resta la più attendibile e la base per ogni speculazione.

Popolazioni ideali e popolazioni reali

Gran parte dei dubbi sull'evoluzione furono sciolti grazie agli studi di dinamica delle popolazioni in cui ci si svincolava dal singolo individuo per considerare l'intera popolazione di cui questo fa parte... ma cos'è una popolazione? Johannsen nel 1903 la definì come "L'insieme degli individui che si riproducono tra loro in uno spazio geograficamente determinato", ognuno di questi individui possiede solo una parte del complesso di alleli (ovvero del pool genetico) della popolazione globale.

In base a questa definizione si può immaginare una popolazione ideale, in cui l'evoluzione non possa agire: questa dovrà essere costituita da un numero illimitato di individui, che occupano un ambiente costante nel tempo e che possono accoppiarsi in maniera totalmente casuale (panmissia = tutti gli individui di sesso opposto hanno le medesime probabilità di accoppiarsi).
E' chiaro che in queste condizioni sarebbe impossibile la formazione anche di una razza, o sottospecie, perchè il pool genetico resterebbe distribuito nei singoli individui in maniera del tutto casuale e secondo probabilità statistiche (legge di Hardy-Weinberg).

Come sappiamo però la realtà dei fatti è ben diversa: una popolazione reale non solo è numericamente definita, ma vive in un ambiente mutevole ed è soggetta a colonizzare zone diverse, che impediscono, o limitano, la panmissia. In queste condizioni è facile che specie con ampia distribuzione generino delle razze geografiche, ognuna contraddistinta dalla diversa composizione del pool genetico (che talvolta porta a variazioni morfologiche evidenti... ma non sempre).
Noi terrariofili spesso ci riferiamo a queste razze preferendo quasi immancabilmente quelle con colorazioni, o forme, più particolari. Si pensi al Furcifer pardalis Ambanja o Nosy-Be o Ambilobe, all'Elaphe guttata Oketee o Miami, ed a tanti altri. Ricordiamoci comunque che la razza geografica non rappresenta una specie e neanche una sottospecie, non ha quindi valore sistematico ed è ancora geneticamente molto simile agli altri individui con distribuzione diversa, tanto che il venir meno di barriere naturali può determinare un rapido rimescolamento genetico con la popolazione d'origine, facendo "sparire" le caratteristiche che la contraddistinguevano.

Quanto detto è comunque un'esemplificazione, perchè esistono casi limite, di specie a diffusione estrema (es su un intero continente o addirittura su più continenti), in cui le razze formano un gradiente di differenze per cui ogni razza è molto simile a quella vicina, ma se analizziamo i soggetti di razze che vivono a grandi distanze scopriamo che dovrebbero esser considerate due specie distinte a tutti gli effetti.
Questa è una bella gatta da pelare per i sistematici, che spesso tentano di salvarsi creando delle sottospecie (pensate a quelle numerosissime del Lampropeltis triangulum!) ... tuttavia fortunatamente il problema ci tocca da lontano e possiamo continuare la nostra dissertazione!

I fattori evolutivi

Quali sono i fattori che spingono alla speciazione? Qualcuno mi dirà: la selezione naturale... sì OK, ma... tutto qui? Cosa dovrebbe selezionare e perchè mai?

Mutabilità:

In realtà il fattore più importante alla base dell'evoluzione è nuovamente da cercarsi nel DNA (tranquilli non tornerò su cose già dette!). Se questo non subisse mutazioni non esisterebbero alleli diversi e di conseguenza tutti gli individui sarebbero geneticamente identici.
Il prezzo da pagare per questa variabilità genetica è elevato: il rischio di indurre mutazioni letali, o malattie genetiche è insito in ogni specie (pensate alle talassemie o ai tumori), tuttavia la storia naturale ci insegna che le specie che hanno rinunciato a questa variabilità sono condannate all'estinzione alla prima variazione ambientale di rilievo (per questo la partenogenesi, equivalente ad un'auto-clonazione della madre, è così poco diffusa).

Quanto detto ha importanti implicazioni ecologiche e terraristiche: vi siete mai chiesti che cos'è una specie a rischio di estinzione?
Beh, tenete conto che ogni mutazione colpisce a caso e che solo uno dei due geni presenti sarà cambiato (ricordate la prima parte? Un gene è materno ed uno paterno...). Se il cambiamento è in peggio (es. mancata funzionalità biologica) l'organismo spesso se la caverà usando il gene "sano".
Ora, se la popolazione è numerosa, il gene malato resterà perennemente recessivo perchè sempre eterozigote, quindi il suo carattere letale non si renderà mai evidente. Ma che accadrebbe se la popolazione fosse costituita da pochi individui? La malattia genetica diverrebbe evidente in omozigosi, mietendo molte vittime.

Possiamo quindi azzardarci a dire che una specie è a rischio quando la numerosità dei suoi individui non può più "compensare" i caratteri recessivi indesiderati presenti nel suo pool genico.

Quanto detto sui geni letali rappresenta una semplificazione forse eccessiva, perchè gli organismi viventi, per salvarsi da questo tipo di rischio, utilizzano spesso geni ridondanti per espletare la medesima funzione; tuttavia la definizione appena data di "rischio d'estinzione" resta valida nel suo concetto. Un altro paio di maniche è calcolare con buona approssimazione questo rischio!

Ho spesso sentito affermare che una determinata specie è a rischio d'estinzione perchè esistono "tot" esemplari residui. In realtà il numero di esemplari di per sè non significa molto se non si tiene conto della compromissione del pool genico della popolazione: per capirci valgono di più 100 esemplari con un pool genico "forte" di 10.000 che portano numerose patologie genetiche recessive.
Un esempio pratico molto suggestivo lo abbiamo dai nostri criceti: tutti i criceti dorati oggi allevati derivano da un unica coppia capostipite! Questo nonostante siano ormai milioni e con tantissime razze selezionate. E' chiaro che quei due antenati erano dotati di un' ottima dotazione genica!
Se invece prendiamo ad esempio i gerbilli di cattività, questi sono stati "espansi" a partire da una trentina di individui capostipiti, purtroppo però all'interno di quel pool allelico era presente un gene predisponente per l'epilessia e così, ancora oggi, alcuni gerbilli sono soggetti -se stressati- a vere crisi epilettiche (fortunatamente non letali).
Come ho insistito nel capitolo precedente è quindi utile, nell'ambito di riproduzioni selettive, mantenere un pool di esemplari sufficientemente elevato per non rischiare di portarsi dietro solo quelli con caratteri indesiderabili latenti, che sul più bello possono vanificare i nostri sforzi. D'altra parte "azzeccare" dei capostipiti genticamente "forti" è veramente questione di fortuna!

Fluttuazioni numeriche della popolazione:

Intesa come variazione quantitativa del numero di individui che si possono riprodurre all'interno di una popolazione. Questo fenomeno è tutt'altro che raro ed è tanto più efficace quanto più la popolazione è piccola e l'oscillazione marcata. Se una popolazione, ad esempio, viene decimata da condizioni climatiche svantaggiose accadrà che molti alleli scompariranno del tutto dal pool genetico, mentre altri -magari originariamente minoritari- diverranno prevalenti.

Molte popolazioni di insetti sono tipicamente legate a dinamiche di contrazione ed espansione ciclica, dovute alla stagionalità... o ad un nostro intervento diretto, non ci stupiamo più quindi della facilità con cui proprio gli insetti sono così facilitati nell'adattarsi ai nostri strumenti di lotta... i pesticidi.
Ogni volta che li applichiamo eliminiamo infatti dalla popolazione globale gli alleli sensibili alla molecola velenosa -solitamente inibitore di uno specifico enzima- selezionando gli individui che portano una forma mutata dell'enzima, a cui il nostro pesticida si lega con maggiore difficoltà. Nel giro di qualche fluttuazione avremo creato degli individui cui il pesticida -almeno nel dosaggio originario- non fa più nulla.

Anche in ambito terraristico, senza neanche accorgercene, creiamo condizioni di espansione e di contrazione delle specie allevate, un esempio per tutti sono le "mode". Non mi piace usare questo termine, ma la realtà dei fatti mi costringe: ciclicamente alcune specie, o razze allevate divengono richiestissime, in queste fasi gli allevatori si affrettano a rispondere alla domanda riproducendo in massa le specie richieste che giungono sul mercato... saturandolo nel giro di un paio d'anni. Di conseguenza col tempo la richiesta calerà fino a quasi estinguersi, gli allevatori abbandoneranno la riproduzione di quelle varietà per passare a quelle di "moda" più attuale. E così la popolazione fluttuerà in maniera macroscopica.
Gli effetti sul pool genetico delle specie oggetto di simili fenomeni sarà tanto più marcato quanto meno si attingerà ad animali di cattura nelle fasi di espansione (senza scomodare le specie a rischio di estinzione ricordiamoci che ad es. l'Australia vieta rigorosamente l'esportazione dei suoi animali... Tiliqua, Pogona, Clamidosauro...).

Colonizzazione:

Il fenomeno di espansione delle popolazioni porta talvolta all'occupazione di nuove nicchie ecologiche da parte di individui geneticamente predisposti. Questi mutanti ecologici potranno ad esempio avvalersi di una fonte di cibo non appetibile dal resto della popolazione (accade spesso nei bruchi monofagi), ovvero adattarsi ad un ambiente diverso (pensate agli artropodi troglobii, adattati alla vita in grotta).
La sottopopolazione in questione, pur non essendo impossibilitata a tornare a mescolarsi con quella di partenza, avrà buone probabilità di permanere nel suo isolamento adattativo perchè la nicchia occupata è vuota e quindi le risorse non mancano. Col tempo quindi potrà evolvere in una specie a sè stante, infine incapace di tornare a mescolarsi con quella d'origine. Vi faccio notare che in questo caso la speciazione avviene senza selezione naturale!
Esistono alcuni casi eclatanti di questo fenomeno nei grandi laghi africani Tanganica, Malawi e Niassa: in pratica le numerosissime specie di ciclidi endemici ivi presenti originano tutti da pochissimi capostipiti, che si sono adattati a colonizzare e sfruttare le risorse più disparate. In questo caso il fenomeno prende il nome di radiazione adattativa: la grande disponibilità di nicchie occupabili ha reso molto rapida la speciazione ad opera di animali ad elevata adattabilità ambientale quali sono appunto i ciclidi.
In fondo anche l'adattabilità alla nicchia della "vita in terrario" rappresenta bene questo fenomeno, non per niente alcune specie sono decisamente prevalenti tra gli appassionati proprio perchè particolarmente robuste... benchè nessuna queste colonizzi naturalmente questo peculiare habitat ;-)

In questo paragrafo possiamo anche considerare un fenomeno che l'uomo ha spesso "aiutato", se non causato volontariamente: l'introduzione di specie alloctone. Come sapete questa pratica ha spesso causato dei veri disastri, ricordo, senza dilungarmi, l'introduzione del Dingo in Australia (che ha fatto estinguere il lupo marsupiale), quella dello scoiattolo grigio in Inghilterra (che ha ridotto a pochi esemplari "rifugiati" nelle pinete lo scoiattolo rosso), del gambero rosso americano e del siluro gigante nelle acque dolci italiane (con enormi danni a tutta la fauna e flora residente nei corsi d'acqua in cui sono presenti); per non parlare dei danni portati dalla distribuzione "globale" del ratto grigio.
Purtroppo in questo campo anche la terraristica ha avuto un ruolo negativo, mi riferisco in particolare ai numerosi esemplari di tartarughe palustri americane che ormai sguazzano nei nostri corsi d'acqua facendo strage di anfibi.
Vorrei quindi approfittare di queste righe per invitare chi mi legge a non abbandonare mai un proprio animale in natura... esistono tanti "mercatini" on line in cui trovare un nuovo padrone per il vostro amico insolito!

Tuttavia accade anche che alcune specie alloctone si adattino, senza far danni, al nuovo ambiente. Abbiamo in questo senso diversi esempi: qui a Genova esiste una nutrita colonia di parrocchetti dal collare orientali che vive libera in città da più di vent'anni, in tempi più recenti si è anche formata una piccola colonia di amazzone comune... è davvero particolare vedere questi pappagalli svolazzare tra gli alberi della città emettendo i loro versi penetranti! Nel salernitano sono stati segnalati gli stellioni, mentre in Inghilterra lo xenopo liscio è ormai considerato fauna locale. In Florida si è acclimatato l'Anolis equestris, i camaleonti di Jackson hanno ormai formato una prolifica colonia alle Hawaii, mentre in Australia sono stati introdotti volutamente gli scarabei stercorari per eliminare le deiezioni originate dai grossi allevamenti di bestiame.

Partendo da un paio di questi esempi (Trioceros jacksonii e Anolis equestris) vorrei fare una breve disquisizione sull'imbreeding. Le due popolazioni alloctone anzidette stanno prosperando nonostante lo studio del loro DNA mostri una variabilità allelica ridottissima, segno di un'origine legata a pochissimi riproduttori capostipiti. Quindi, di fatto, stiamo assistendo alla propagazione naturale di una popolazione tramite inbreeding. La bontà genetica dei fondatori deve, come riportato per i criceti, essere stata notevole, perchè le due popolazioni si sono espanse tantissimo senza mostrare -per ora- tare ereditarie. Di fatto oggi la maggior parte degli Anolis equestris "di cattura" che vediamo in vendita derivano dagli USA e non da Cuba!

Con ciò continuo a pregarvi di non liberare alloctoni, ma soprattutto di non demonizzare a priori l'inbreeding. A questa pratica si attribuiscono troppo frequentemente le colpe dovute -in realtà- ai nostri errori, mentre l'inbreeding ha la sola capacità di "fissare" i caratteri ereditari nella progenie, non facendo distinzione se questi sono buoni o cattivi.
L'incrocio di individui consanguinei fisserà quindi le malattie genetiche così come i colori; la taglia maggiore, così come il nanismo; la resistenza alle malattie così come la suscettibilità, ecc... Partendo da questa evidenza, che è scientifica ed inopinabile, a mio vedere se si possiede una coppia di riproduttori particolarmente sana e vigorosa sarebbe quasi meglio provare ad usare i loro figli come riproduttori piuttosto che rischiare di associare questi ultimi a nuovi esemplari la cui "solidità" genetica non è per nulla provata, si verificherà sulla F1 ed F2 se l'investimento è stato proficuo.
Questo discorso, per ironia, è tanto più valido quanto più la specie in questione è potenzialmente portatrice di alcune tare: se non siamo in grado di raccogliere dati precisi -e per almeno due generazioni- sugli esemplari con cui vorremmo integrare il nostro allevamento rischiamo di fare più danni che bene!

Isolamento:

Questo fenomeno si verifica ogni volta che per cause geografiche, ecologiche, riproduttive, o genetiche, alcuni individui formano una piccola popolazione a sè stante rispetto alla popolazione d'origine.

L'isolamento geografico costituisce senz'altro il fenomeno più vistoso ed intuitivo: è quello che genera le sottospecie e le razze geografiche di tanti nostri beniamini, che stanno vivendo una forma di radiazione adattativa simile a quanto descritto per i ciclidi dei laghi africani. Di fatto rettili ed anfibi non sono molto mobili e, anche in assenza di barriere evidenti, si allontanano poco e malvolentieri dal loro territorio d'origine, facilitando un isolamento geografico "spontaneo".

L'isolamento ecologico, inteso come adattamento specializzato a determinati biotopi non separati geograficamente, ha i suoi esempi più emblematici nei parassiti, forzatamente legati al proprio organismo ospite. I Coccidi sono forse l'esempio più estremo di questo isolamento in cui la specie-specificità dell'ospite è spesso assoluta.
Per farvi un altro esempio un po' più macroscopico anche il Cuculo, noto uccello che parassita i nidi altrui, vive un isolamento ecologico legato alla specie di uccello parassitato. Questo risulta particolarmente evidente per il fatto che la diverse razze di cuculo (tra loro indistinguibili da un punto di vista morfologico) sono specializzate a deporre uova simili a quelle della specie ospite.

L'isolamento riproduttivo si attua a vari livelli e di solito agisce a valle di un isolamento geografico, in pratica facilitando la segregazione di razze o sottospecie. Esempi di parziale efficacia di questo fenomeno sono le variazioni del periodo riproduttivo, per cui gli accoppiamenti di una popolazione tendono ad isolarsi dalla popolazione di origine per anticipo o ritardo. E' chiaro che in questo caso basterà una variazione del ciclo stagionale per vanificare l'isolamento.
Un altro isolamento riproduttivo deriva dalle alterazioni delle modalità di corteggiamento: le nostre raganelle erano fino a poco tempo fa considerate un'unica specie con due sottospecie, mentre di recente sono state classificate come specie distinte (Hyla arborea e Hyla meridionalis), il principale fattore che tende a separare sempre più la H. meridionalis dalla specie nominale è legato allo sviluppo di un gracidio diverso, utilizzato dai maschi nel corteggiamento.
Tra i colubri entrano in gioco soprattutto variazioni nell'odore della femmina: solo i maschi che riconoscono quell'odore come segnale di accoppiamento proveranno a corteggiarla. Va da sè che, nel momento in cui una sottospecie viene a caratterizzarsi per un odore "riproduttivo" abbastanza distinto dalla specie nominale, avrà notevoli possibilità di evolvere in specie a sè stante.
Per inciso questo sistema di discriminazione odorosa viene impiegato dagli allevatori che amano creare ibridi: i famosi ibridi tra Elaphe guttata e Lampropeltis di varie specie, coloratissimi, sono di fatto ottenuti facendo iniziare contemporaneamente il corteggiamento di due coppie con i giusti partner, per poi scambiare le consorti all'ultimo minuto... i maschi ormai eccitati dall'odore giusto, di cui anche il terrario è impregnato, non fanno più caso alla femmina con cui si accoppiano!
Altre volte l'isolamento avviene per cause anatomiche, è il caso degli insetti, ed in particolare dei coleotteri, dove la principale barriera è rappresentata dall'estrema specializzazione morfologica dell'organo sessuale maschile (edeago), tanto che questo per lungo tempo è stato usato quale unico elemento di classificazione certa per molte specie morfologicamente simili.
Nel momento in cui due specie sono finalmente distinte, oltre ai tipi di isolamento sopra riportati, entra in gioco quanto detto all'inizio delle nostre chiacchierate, ovvero un isolamento genetico che determina la morte o la sterilità degli ibridi.

Selezione naturale

Contenti che alla fine sia saltata fuori? In realtà essa opera "collaborando" con quasi tutti i fattori evolutivi sopra elencati. Darwin la chiamava giustamente "lotta per la vita", perchè opera continuamente su ogni individuo che deve guadagnarsi quotidianamente l'esistenza. La vita in natura è quindi una spietata livella, opposta a certe visioni di "eden naturalistico" che alcuni estremisti -con scarse nozioni di ecologia- sostengono ad ogni costo.
La selezione naturale si attua a vari livelli e agisce su caratteri legati al fenotipo (caratteristiche dell'individuo), e mai direttamente sul genotipo (geni che le determinano).

Clima: il primo selettore è solitamente l'ultimo a venirci in mente! Eppure è proprio il clima a determinare l'areale di distribuzione di ogni specie, legata a precisi limiti di tolleranza. Così oscillazioni estreme della temperatura possono portare alla scomparsa di alcune specie "arrostite" o "surgelate" da una stagione anomala.
Proprio questo tipo di oscillazione è stata causa di vari disastri ecologici nella famosa estate "africana" del 2003. Qui in Liguria ad esempio sono state distrutte le forme di vita bentoniche (che vivono fissate al substrato) di diverse riserve naturali marine, tra cui una delle maggiori colonie di corallo rosso... concediamo qualche millennio di attività per i nuovi polipi coralligeni e tutto sarà come prima!
Altre volte è il freddo a fare stragi, soprattutto sui piccoli uccelli stanziali: pettirossi e regoli lasciano "sul campo" gran parte della popolazione ad ogni inverno un po' più rigido.
Se per specie che vanno in letargo o estivazione, come rettili ed anfibi, questi estremi sono spesso tollerabili, le stagioni secche possono vanificare la riproduzione delle specie legate all'acqua. Così accade fin troppo spesso che intere comunità di anfibi non possano riprodursi per più anni di seguito. Lo spettacolo di pozze in rapido prosciugamento, brulicanti di girini in agonia è sempre più frequente e costituisce un vero disastro per questi animali in continua e rapida diminuzione!
Approfitto quindi di voi che mi state leggendo per lanciare un SOS: chi possiede un qualsiasi pezzo di terra veda se gli è possibile creare un piccolo stagno naturale (senza pesci!). Questo tipo di rifugio rappresenta l'optimum per la salvaguardia dei nostri anfibi (altro che divieti e sanzioni!) oggi i nostri anfibi hanno solo un disperato bisogno di iniziative spontanee per la creazione di nuovi habitat, che soppiantino quanto l'antropizzazione del territorio sta sottraendo loro.

Predazione: rappresenta il selettore più ovvio e indubbiamente efficace. In pratica quasi tutti gli animali rivestono contemporaneamente un ruolo attivo e passivo: predando le specie di cui si nutrono (ricordo ai vegetariani che anche i vegetali amano vivere e, a modo loro, soffrono!) e fungendo da cibo per altri organismi.
Questa pressione quotidiana determina un continuo rinnovarsi delle strategie di sopravvivenza e predazione. Troviamo così il mimetismo, la dotazione di armi chimiche, veleni, di un radar, o di un sonar, l'incremento della potenza muscolare, la miniaturizzazione, l'adattamento ad ambienti estremi. Ognuna di queste forme convive spesso con altre e si evolve continuamente. Ogni errore, anche minimo, viene punito con l'eliminazione, mentre ogni vantaggio, pur esiguo, porterà -statisticamente- ad una maggiore probabilità di sopravvivenza e quindi tenderà ad essere selezionato positivamente nella popolazione.

Questo sistema è tutt'altro che preciso a livello del singolo animale: un individuo particolarmente prestante e con elevata fitness ambientale può comunque cadere vittima di un predatore, sparendo dalla scena anche se portatore di caratteristiche vantaggiose. Quindi l'evoluzione procede seguendo leggi per cui un vantaggio non significa necessariamente sopravvivenza, ma in cui uno svantaggio è sicuramente eliminato rapidamente (con le dovute eccezioni).
Capiamo ora quale sia il principale problema degli animali mantenuti in cattività: il pool genico è ridotto e non c'è selezione naturale! Anzi, per un nostro modo "umanizzato" di vedere la vita, tendiamo ad accanirci nel salvare, tra le numerose covate di baby nate in cattività, anche gli individui più gracili, facilitando l'indebolimento del ceppo e quindi l'insorgenza di tare.

Patologie: virus, batteri e parassiti costituiscono, in senso lato, una classe di formidabili predatori. La maggior parte di loro non subisce, per ironia, predazione, ma è comunque soggetta ad una continua pressione selettiva da parte del sistema immune dell'organismo ospite. In questi casi, mentre l'organismo ammalato tende unicamente ad eliminare lo scomodo inquilino, il patogeno cerca solitamente di sfruttare al meglio la propria situazione, creando forme bilanciate di sfruttamento delle risorse così che l'organismo ospite possa sopravvivere.
Sappiamo bene che è così guardando alla nostra pratica terraristica: sono rarissime le forme patogene acute e fulminanti, mentre i parassiti possono celarsi insidiosamente dentro i nostri beniamini senza dare patologie manifeste per lungo tempo.
Questo tipo di selezione agisce quindi tuttora anche negli animali in cattività, anzi in quest'ambito avvengono fenomeni di pressione selettiva notevoli. In terrario l'ambiente è più uniforme e soprattuto non soggetto a fenomeni metereologici di rilievo, così cisti di coccidi e di vermi parassiti persistono più facilmente sull'arredamento (dubito che qualcuno di voi sterilizzi frequentemente le foglie ed il terriccio delle piante presenti nel terrario). Questo arricchimento in elementi infettivi causa il superamento della soglia di patogenicità di parassiti che in natura non darebbero alcuna noia sostanziale al loro ospite!
Questo fenomeno è il principale responsabile dei decessi degli animali di cattura che, oltre a dover sopportare lo stress dell'esportazione e distribuzione, si trovano rapidamente sopraffatti da un crescente numero di patologie a carico. In quest'ambito accade purtroppo -e troppo spesso- che grossisti e dettaglianti stabulino i nuovi arrivi in teche precedentemente occupate da altre specie, senza aver prima effettuato una sterilizzazione a fondo dei terrari, o peggio, facciano convivere specie di origine diversa, facilitando lo "scambio" diretto di patogeni.
Questo fenomeno è da sempre sottovalutato, ma di fatto crea le patologie più gravi: infatti un patogeno che vive in equilibrio con un dato organismo spesso diviene virulento e pericoloso se entra in un altro con caratteristiche simili (non a caso l'HIV, il virus dell'AIDS, non dà patologia nello scimpanzè, suo organismo d'origine ed i peggiori casi di influenza pandemica sono di origine aviaria!).

Concorrenza: per cibo ed alimenti rappresenta una spinta alla colonizzazione di nuove nicchie ed allo sfruttamento di diverse risorse alimentari. La scarsa specializzazione rappresenta un grosso vantaggio in fase di colonizzazione iniziale, permettendo un adattamento sommario alle nuove condizioni, mentre nel tempo la specializzazione, spesso coincidente con la speciazione, permetterà uno sfruttamento sempre più mirato delle singole risorse alimentari e spaziali. Esempi emblematici di biocenosi con questa specializzazione sempre più spinta, oltre ai grandi laghi africani citati precedentemente, sono le barriere coralline e le foreste primarie equatoriali.
Anche in terrario la concorrenza è un fattore di cui tener debitamente conto: ogni specie ha definite necessità di spazio vitale, parametri climatici, sex-ratio e cibo. Spesso la convivenza forzata di troppi individui determina la morte dei più deboli, impossibilitati ad allontanarsi da un ambiente così sfavorevole.
Anche la concorrenza sessuale è un fenomeno molto evidente: in cattività è praticamente impossibile allevare due maschi della stessa specie di sauro nel medesimo terrario (salvo rare eccezioni) ed anche la convivenza di più femmine non è automaticamente garantita senza guai. In natura la selezione è soprattutto attiva su quelle specie in cui i maschi sono dotati di caratteri particolarmente vistosi per potersi ingraziare l'altro sesso.

Beh qui concludo. Ringrazio tutti coloro che hanno trovato la costanza di seguirmi fino alla fine e spero di essere stato utile a qualcuno, soprattutto mi auguro di avervi invogliato ad approfondire personalmente questi argomenti affascianti.

Genetica nel terrario, parte prima
Genetica nel terrario, parte seconda
Genetica nel terrario, parte terza




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